I cinquant’anni dell’Archeologia Industriale in Italia: ancora una disciplina di frontiera?
DOI:
https://doi.org/10.6093/2724-3192/11643Parole chiave:
Archeologia industriale, Rivoluzione industriale, Cultura industriale, Paesaggio, Patrimonio culturaleAbstract
Il testo esamina le problematiche e le sfide dell'archeologia industriale italiana, concentrandosi sulle pratiche di inventariazione, catalogazione, riallestimento e valorizzazione delle vecchie strutture produttive. Questa pratica viene paragonata alla “sindrome di Noè”, un recente disturbo mentale che comporta l'accumulo ossessivo di animali o oggetti.
Gli autori evidenziano come questa sindrome si ripercuota anche sulla conservazione del patrimonio culturale: molti operatori, incapaci di stabilire delle priorità, cercano di conservare indiscriminatamente tutto. Questo fenomeno è particolarmente presente nelle aree periferiche, dove amministratori locali e appassionati cercano di proteggere e valorizzare ogni manufatto storico.
Françoise Choay ha individuato questo problema nel 1992, mettendo in guardia dal rischio che un eccessivo accumulo di beni culturali protetti possa portare a una crisi delle risorse e a una perdita di significato culturale. Anche Salvatore Settis ha espresso preoccupazione per la situazione italiana, suggerendo che solo una rinascita delle virtù civiche potrebbe invertire l'attuale degrado.
La soluzione proposta prevede una riforma culturale che stabilisca una gerarchia di valori storici e culturali condivisi, riducendo l'eccesso di patrimonio protetto e concentrando le risorse sui beni più significativi. Solo attraverso un'approfondita ricerca storica sarà possibile determinare quali beni meritano davvero di essere conservati e valorizzati.